L’ APPROFONDIMENTO DEL PROF. LUIGI IAVARONE. Oggi, 25 novembre, come è noto a tutti, ricorre la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne. La data, scelta dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), trae origine da un triste giorno per la società, in cui l’impegno civile di tre donne eroiche, le sorelle Mirabal, venne punito con la loro soppressione a opera del regime di Rafael Leonidas Trujillo(Truiglio), ex presidente della Repubblica Dominicana. La violenza di genere rappresenta una materia molto vasta, difficile e delicata per le gravi ricadute psico-fisiche ed esistenziali che la vittima presenta a seguito di comportamenti abbietti e riprovevoli: comparsa di stress, umiliazione, perdita di autostima, depressione. Le notizie di cronaca ci obbligano a prendere atto che la violenza, soprattutto contro le donne e le persone deboli e indifese, non è diminuita, anzi! L’idea comune che si ha è che sia poco frequente; si tende a non ammettere la gravità del fenomeno, a circoscriverlo in specifici ambienti sociali di degradazione e di ignoranza. Purtroppo, non è così. Non si limita a colpire persone di livello socio-culturale basso, ma è presente trasversalmente in tutti gli strati sociali: i dati sulla sua diffusione stanno lì a dimostrare il contrario. Sono numeri drammatici che devono far riflettere: a Roma, in soli 10 mesi 1.500 donne hanno denunciato violenze. Centocinquanta al mese. Cinque al giorno. Cifre impietose, rese ancor più impressionanti dalla pandemia che durante il lockdown ha fatto crescere ancora di più i reati che riguardano la sfera degli abusi in famiglia e ha triplicato il numero dei femminicidi (91 nell’arco di questi mesi). Secondo i dati forniti dall’ISTAT tra marzo e giugno 2020 il numero verde 1522, istituito dal Dipartimento delle Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio per sostenere e aiutare le vittime di violenza di genere e stalking, ha ricevuto 5.031 telefonate, il 73% in più sullo stesso periodo del 2019. Le vittime che hanno chiesto aiuto sono 2.013 (+59%). In particolare per la nostra Regione, il tasso di incidenza passa dal 6,8 del 2019 al 12,4 dello stesso periodo del 2020, per la Toscana, dal 4,8 all’8,5 per 100 mila abitanti. Le chiamate motivate da una richiesta di aiuto per violenza subita ammontano a 1.543. Il 45,3% delle vittime ha manifestato paura per la propria incolumità o di morire; il 72,8% non denuncia il reato subito. Nel 93,4% dei casi la violenza si consuma tra le mura domestiche, nel 64,1% si riportano anche casi di violenza assistita. Inoltre, necessita sottolineare che i fondi antiviolenza sono insufficienti e tardivi; infatti, a fronte di uno stanziamento di 132 milioni di euro, non sono ancora arrivate parte delle risorse delle Regioni del 2015 e i Centri antiviolenza e le Case rifugio sono in difficoltà per il personale dimezzato. Vorrei, a questo proposito, introdurre solo alcune riflessioni e, attraverso semplici concetti, riuscire possibilmente nell’ardua impresa di cogliere la misura e la pervasività del fenomeno. La prima riguarda le diverse e numerose dinamiche comportamentali messe in opera dal persecutore che sono tutte incentrate nel “servirsi” dell’altro, al fine di aumentare la soglia della propria autostima, convinto che l’altro possa risolvere i propri problemi esistenziali. Il fenomeno richiama simbolicamente il mito del cannibalismo magico e ritualistico, da ciò il titolo del mio intervento di oggi e preso a prestito dal libro “Stalking: Nuova forma di cannibalismo predatorio” scritto assieme alla dr.ssa Cristiana Macchiusi, magistrato, attualmente ispettore generale presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Ebbene, il carnefice nella sua devastante opera di distruzione morale, fisica e psichica della vittima ha un unico e preciso scopo: fagocitare ovvero assorbire le virtù di chi metaforicamente si mangia. Queste pulsioni cannibaliche richiamano la mancata capacità di affrontare e gestire il rapporto emotivo con l’altro. E’UN ANALFABETISMO EMOZIONALE che impedisce di comprendere i veri significati dell’esperienza umana: ALTRUISMO, GENEROSITA’, EMPATIA E PROSOCIALITA’. L’altra significativa riflessione è l’attuale crisi di valori della società, caratterizzata da egoismo sociale, centralità del consumismo e materialismo ideologico, dove l’oggetto governa il soggetto, ultimo anello di una catena che ha modificato sostanzialmente il nostro modo di vivere e di pensare. A ciò si aggiunga un disperato vuoto morale, che fa dell’abolizione dei limiti e della trasgressione alle regole, le uniche chiavi di felicità che gli esseri umani possano desiderare e sognare. Le ragioni storico-sociali che si pongono come cause o concorrono profondamente ad alimentare l’esistenza del fenomeno sono molteplici; ne cito una in particolare, perché mi sembra maggiormente idonea a focalizzare i comportamenti e le motivazioni che stanno alla base del fenomeno. L’affermarsi dell’autonomia femminile ha aperto numerose crepe nelle granitiche certezze del maschio. Perché si possa comprendere appieno, quanto ha inciso e quanti profondi cambiamenti ha prodotto nella società italiana l’emancipazione della donna, occorre soffermarsi sul “clima culturale” che caratterizzava la vita sociale premoderna fino alla prima metà del XX secolo. Rapporti sessuali ammessi solo nell’ambito della vita coniugale, matrimonio indissolubile, relazioni di genere nascoste e mal tollerate, asimmetria dei rapporti di potere. E’ solo dopo gli anni sessanta che è iniziato un diverso e tormentato cammino verso nuove forme di relazionalità e di socialità: la rivoluzione sessuale, la ricerca del benessere e della felicità dell’individuo, l’instabilità coniugale, il nuovo ruolo della donna nella società. L’assetto patriarcale e gerarchico è contestato e la figura ideale di angelo del focolare e madre e moglie esemplare viene a cessare, sostituita da una nuova fotografia di donna sempre più libera, indipendente e pienamente inserita nel mondo del lavoro. Il processo di emancipazione femminile ha generato profonde crisi identitarie; se oggi una donna è protagonista della propria vita affettiva, è economicamente autonoma ed è capace di procreare anche senza ricorrere all’intervento diretto di un uomo, obbliga ogni individuo di sesso maschile a trovare il coraggio di confrontarsi con se stesso e a chiedersi quale ruolo gli spetti. Tutto ciò colpisce nell’intimo l’orgoglio del maschio, incapace di gestire in maniera paritaria la propria sessualità e le proprie relazioni con l’universo femminile, vedendo in pericolo i valori androcentrici e i presupposti sui quali si fonda la sua pseudo virilità. In tale contesto di evoluzione sociale, dove l’uomo riveste un parte assolutamente marginale nella gestione della riproduzione, si può facilmente comprendere come il confronto paritario nei rapporti fra i sessi sia una scelta di rottura con il passato, ancora non pienamente accettata, tanto da produrre sovente momenti di vera ostilità. La complessa rete multifattoriale che avvolge questo genere di violenza è legata più a ragioni di carattere culturale che a forme di disagio psichico o a fanatismo religioso; fenomeno, quest’ultimo, nuovo e preoccupante per la sua diffusione e per l’insidioso spirito di emulazione che potrebbe innescare in soggetti particolarmente deboli e fragili. Da parte mia sono profondamente convito di una cosa è cioè del fatto che la società tutta è chiamata a impegnarsi verso la direzione di un progetto di umanità, o meglio di una umanità nuova, rinnovata, più compiuta, più all’altezza del momento storico in cui viviamo, entrando in una dinamica di dedizione e di cura dell’altro, in particolare dell’altro fragile, ferito, in cammino, in difficoltà. Solo così possiamo sperare in un mondo migliore, dove l’individuo riconosce se stesso e l’altro da sé in relazione all’educazione ricevuta, ovvero nel pieno riconoscimento dell’altro diverso da me ma uguale nella dignità e nel rispetto, in un vicendevole scambio di mutuo soccorso. Il moltiplicarsi dei casi di violenza a cui oggi assistiamo è direttamente correlato con la crisi delle relazioni interpersonali e più in generale con l’impennata dei fattori di vulnerabilità individuali e sociali che caratterizza l’attuale fase storica. Dobbiamo quindi iniziare a prendere coscienza e conoscenza del fenomeno, a vedere e a sentire le grida d’aiuto delle vittime. Perché si tende a negare che la violenza, nelle sue molteplici forme, esista. Purtroppo, la violenza soprattutto contro le donne diventa allarme sociale in occasione di eventi specifici, come lo stupro e quando comporta la morte della vittima. Si scatena una campagna di stampa effimera e superficiale con titoli a carattere cubitali e per un breve periodo si assiste a un risveglio delle nostre coscienze, dopo di che scema l’attenzione e apparentemente ritorna la calma, la rassicurante tranquillità quotidiana. Diversamente, sarebbe auspicabile e quindi fondamentale per una sana educazione civica e morale, orientare la comunicazione televisiva e di stampa verso forme di diffusione che esaltino il senso profondo del rispetto verso gli altri, per una vera dimensione identificativa dell’uomo. Di fronte alla gravità di un fenomeno che sta assumendo dimensioni sconcertanti, gli interventi a protezione delle persone che hanno subìto o subiscono violenze comportamentali e sessuali, perché abbiano successo, devono saper cogliere il profondo disagio interiore che tormenta la vittima, caduta in un abisso da cui sembra impossibile risalire. Perché si possa sviluppare una più incisiva prevenzione sul fenomeno della violenza è fondamentale porsi e rispondere a una serie di domande: che cosa spinge un marito, un amante, un compagno, un fidanzato a trasformarsi in aguzzino? E perché una donna al primo episodio di violenza non allontana da sé, per sempre, l’uomo che la minaccia ma gli resta accanto negando ai familiari, ai colleghi e agli amici, l’evidenza dei fatti? Cosa si fa per incoraggiare la vittima a rompere il silenzio e uscire allo scoperto, per denunciare l’abuso con convinzione ferma e con fiducia? Come si può intervenire per arginare questa spirale di violenza? Come si può prevenirla? La verità è che viviamo un momento storico in cui è in atto una vera e propria guerra contro i corpi e la dignità delle persone, uomini o donne che siano. La verità è che siamo volutamente distratti a raccogliere il grido di dolore e lo sguardo sul senso di solitudine, di frustrazione e di assordante silenzio che circonda le vittime. La verità è che necessita “ripristinare” l’antica regola a fondamento della quale c’è il rispetto di quella risorsa umana che chiamiamo persona. In una società indubbiamente in crisi, nella quale le persone sono deboli e fragili nella gestione delle dinamiche relazionali e in cui occasioni di violenza trovano terreno fertile, è difficile cogliere nuovi spazi e assetti comunicativi basati sul reciproco rispetto e sulla cura l’uno dell’altra. E’ in tutto questo, il senso del mio intervento. Un insieme di forti e vibranti richiami perché nessuno si abitui a essere indifferente a questo scempio e a scoprire, come insegna il grande maestro spirituale indiano Osho, il vero volto dell’Amore: Se ami saprai che tutto inizia e tutto finisce e che c’è un momento per l’inizio e un momento per la fine e questo non crea una ferita. Non rimani ferito, sai che quella stagione è finita. Non ti disperi, riesci a comprendere e ringrazi l’altro: “Mi hai dato tanti bei doni, mi hai donato nuove visioni della vita, hai aperto finestre nuove che non avrei mai scoperto da solo. Adesso è arrivato il momento di separarci, le nostre strade si dividono. Non con rabbia, non con risentimento, senza lamentele e con infinita gratitudine, con grande amore, con il cuore colmo di riconoscenza. Se sai come amare, saprai come separarti