Piero Orteca Siglato in Katar un pre-accordo tra americani e talebani. Presi impegni ambigui sul ritiro delle truppe e stop agli attentati. Grande assente il governo ufficiale di Kabul. Per Trump è una mossa elettorale
Politica estera, il ‘buco’ di Trump’
In palese difficoltà sul fronte mediorientale, dove la crisi siro-turca cresce di intensità, la diplomazia americana , un colpo al cerchio e uno alla botte, cerca un’immediata rivincita in Asia Centrale. Dopo mille annunci, regolarmente smentiti dai fatti, questa volta pare proprio il momento buono: Stati Uniti e talebani hanno firmato un’ intesa di pace (in realtà un pre-accordo) a Doha in Katar. La mossa, disperatamente cercata da Trump, dovrebbe servire a chiudere la guerra più lunga mai combattuta da Washington. Quella in Aghanistan, che dura da quasi 19 anni. Certo, a leggere tra le righe, il patto tra americani e talebani sembra fare acqua da tutte le parti.
Firme e non firme
Intanto, fonti ufficiali di stampa riportano che il documento è stato firmato dall’ inviato speciale Usa Zalmay Khalilzad e dal capo talebano Mullah Abdul Ghani Baradar, con il Segretario di Stato americano Mike Pompeo presente “in qualità di testimone”. Una acrobazia linguistico-diplomatica per prendere impegni, ma fino ad un certo punto. L’intesa, infatti, a guardarne in controluce i contenuti , impegna la Casa Bianca al ritiro di circa un terzo del suo contingente di forze armate dislocato in Afhganistan , nell’arco di poco più di un anno. Ma si tratta di un impegno abbastanza ambiguo, come d’altro canto è quello richiesto alla controparte talebana. In questo caso, i ribelli Pashtun dovrebbero astenersi dall’avere contatti con i gruppi di Al- Qaida o di altre formazioni terroristiche islamiche: in pratica, si tratterebbe di una rinuncia a programmare e a eseguire attentati. Non è specificato chiaramente, ma il senso dell’accordo è proprio questo.
Ritiro quasi per finta
Da parte sua, il Presidente Trump ha fatto sapere che il contingente americano si ridurrà da oltre quattordicimila uomini a circa 8.400 . Non bisogna spiegare a nessuno che quest’impegno maschera un obiettivo di politica interna, legato alle elezioni presidenziali Usa. È evidente lo scopo di Trump di far valere il peso del “ ritorno a casa“ sempre promesso e mai completamente mantenuto. In un conflitto che finora è costato ai soldati americani un altissimo tributo di sangue, con circa 2.400 morti. L’annuncio di riportare i ragazzi delle forze armate statunitensi a riabbracciare le loro famiglie potrebbe avere un impatto molto positivo sulla campagna elettorale dell’attuale inquilino dello Studio Ovale. D’altro canto, gli analisti più attenti sottolineano come nell’accordo manchi qualsiasi riferimento significativo al governo di Kabul, che in effetti sembra il grande assente. Il Dipartimento di Stato ci ha messo una pezza facendo sapere che dal 10 marzo prossimo, il pre-accordo entrerà definitivamente in vigore .
Ritirata o fuga?
Anche il governo ufficiale afghano tratterà direttamente con i talebani. Una clausola del patto, scritta e non scritta, fa riferimento alle sanzioni economiche che gli americani diminuiranno o addirittura cancelleranno del tutto. Pare che Pompeo si sia impegnato a fare la stessa cosa con le sanzioni imposte dalle Nazioni Unite. Naturalmente, il ritiro delle truppe Usa comporterà anche il corrispettivo sganciamento delle altre forze occidentali. In pratica, se le cose dovessero continuare con questo andazzo, la “pax” afghana assomiglierà molto a quella vietnamita , quando gli americani scapparono a gambe levate e lasciarono campo libero al nemico comunista . Ergo: guardando da vicino le premesse dell’accordo, in pratica pare di discutere di una sorta di resa condizionata.
Centrasia per una presidenza
Gli americani e gli occidentali si arrendono e lasciano gradatamente il paese in mano al nemico che hanno combattuto per quasi vent’ anni. Se non è una sconfitta firmata e controfirmata poco ci manca. Già gli attivisti afghani per i diritti umani hanno cominciato a far sentire le loro voce. Sono tutti convinti che qualsiasi intesa farà peggiorare il residuo clima di democrazia e di libertà esistente nelle principali città afghane. I distretti delle campagne, invece, sono già da tempo immemorabile nelle mani dei talebani che spadroneggiano e impongono la loro legge alle popolazioni terrorizzate. Ma in questa fase, il precipuo interesse di Donald Trump è quello di utilizzare la politica estera per farsi campagna elettorale. Lui pur di ottenere un secondo mandato alla Casa Bianca è pronto a tutto, anche a mandare in fumo quattro lustri di sforzi tesi a “esportare” democrazia e diritti umani in Asia Centrale.